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Thursday, June 13, 2013

Pesce all'Acqua Pazza

L'Acqua Pazza è un brodo, poverissimo e semplicissimo
Forse una delle più povere preparazioni tra tutte le ricette della cucina italiana ed in genere mediterranea.

Una volta pensavo che la sua denominazione pazza  venisse dal fatto che di solito in Italia, questo brodino è reso piccante dal peperoncino, ma poi ho dovuto ricredermi perché non è sempre così.
L'attributo di pazza  viene invece molto probabilmente dall’abitudine riveirasca e marinara di usare, per prepararla, dell'acqua di mare. In Italia, il sale era un prodotto di monopolio e le relative tasse e proibizioni sono rimaste in vigore fino al 1975 anche se già alla fine del 1800 uno statista italiano  aveva definito queste imposte delle tasse sulla povertà e ne aveva auspicato l'abolizione. Per chi ancora se ne ricorda, una volta  il sale era venduto soltanto nelle tabaccherie insieme alle sigarette, altro genere di monopolio, non aveva marche o confezioni speciali  ma sacchetti di carta leggera con la sola dicitura sale fino o sale grosso.


Non esisteva soltanto una tassa sul sale ma era proibito anche usare l'acqua di mare per cucinare, usanza diffusa, antichissima  e sempre esistita lungo tutte le coste. Le genti rivierasche, però non smisero mai di usarla e di praticare questa disobbedienza civile e privata contro l'erario.
Potete trovare qualche notizia in più in un  articolo di Camilla Stellato pubblicato nel 2006 su www.larivistadelmare.it.

L’Acqua Pazza è sicuramente soprattutto una preparazione di tradizione marinara sia per i pochi e semplici ingredienti, che facilmente sono presenti in tutte le cambuse ma anche perché, pescatori e naviganti di tutti i tempi che avevano l’esigenza di risparmiare la scorta di acqua potabile.

Secondo una notizia abbastanza diffusa l’aggettivo Pazza deriverebbe da Ponza isola che si vanta di aver dato i natali a questo piatto ma l'ipotesi è del tutto improbabile visto che troviamo questo piatto in tutta la parte centro meridionale del Mediterraneo
Nella cucina occitana, ad esempio,  l’Aïgo Boulido  del Sud della Francia e il Caldo de Ajo spagnolo ne sono varianti tradizionali, popolari sia come zuppe che come basi per cucinare altro. Anche nella cucina greca la base della Zuppa Avgolémono è un brodo analogo cui vendono aggiunte poche patate e carote.


Tra gli chef più raffinati  che promuovono la riscoperta dei sapori antichi, c’è  chi sostiene che l’aggiunta di acqua di mare ad alcuni piatti li renda più saporiti.
Trovare acqua di mare veramente pulita è sempre stato un problema, è vero, dato l'uso inveterato a gettare nel mare qualsiasi detrito e scarto ed anche a far defluire in mare le acque fognarie in ogni tempo ed in molte località della costa. Oggi però la cosa è ancora più impegnativa perché le acque dei nostri fiumi e dei nostri mari sono piene di sostanze non biodegradabili  e spesso pericolose immesse da scarichi industriali ma non solo e non siamo più certi di riuscire a trovare acqua di mare pura e pulitissima. Provate però ad andare a questo link e rimarrete sorpresi http://www.aguademar.es/

Data la semplicità e la povertà degli ingredienti (nella ricetta originale il pomodoro non è presente), questo brodo si presta a molte aggiunte ed arricchimenti.

In Spagna, ad esempio, dove l’aglio abbondante viene soffritto leggermente in olio insieme a molte foglie di alloro, vi si aggiungono delle uova e si ottiene l’ottima e nutriente zuppa all’aglio. In Grecia, invece, nel brodo si mettono anche patate e carote ed alla fine vi si dissolve una salsa di uova e limone, la Salsa Avgolémono, 

Se il sapore dell’aglio vi piace questo è un piatto delizioso che si può gustare in qualsiasi occasione, anche soltanto accompagnato da fette di pane abbrustolite. E' ottimo anche per cuocere del pesce come nella ricetta che segue. L'aglio, comunque, può essere sostituito molto bene dallo scalogno.

Pesce all'Acqua Pazza


Ingredienti:
  • Pesce di taglia media,
  • Olio Extravergine di Oliva,
  • 1 o 2 spicchi di Aglio,
  • qualche fetta di Peperoncino piccante fresco o un piccolissimo Peperoncino secco,
  • qualche Pomodorino ben maturo,
  • gambi di Prezzemolo,
  • Acqua,
  • poco Vino bianco seccodi buona qualità (facoltativo),
  • Sale.
In un tegame o una padella larga dai bordi medi, preparate il brodetto con tutti gli ingredienti e fatelo sobbollire e ridurre per almeno un quarto d'ora. Poi aggiungete i pesce. Il liquido non dovrà ricoprirlo ma arrivare soltanto a filo del pesce. Continuate la cottura coperto, per  il tempo necessario, sul fornello oppure in forno a temperatura abbastanza alta (220°).

Il risultato sarà un pesce morbido ma non lesso, irrorato da qualche cucchiaiata di brodetto.

La ricetta può essere variata a piacere, aggiungendo al brodetto patate, olive o altre verdure ed anche conchiglie e crostacei.

Monday, June 10, 2013

Agricoltura Biologica e Biodinamica

Oggi si parla tanto di cibi biologici o biodinamici, ma sapiamo davvero che cosa significa?

Ho crato uno spazio GREEN nel blog dove via via raccoglierò i link  ai post cheriguardano l'argomento oppure ai siti interessanti a questo riguardo.

Intanto cerchiamo di sciogliere alcuni dubbi:

Che cos'è l'Agricoltura Biologica

Dal 1993 al 1997 la superficie coltivata biologicamente in Europa è passata da 890.000 a 2,2 milioni di ettari (per intenderci, l'equivalente del territorio dell'Emilia Romagna, Appennini e riviera adriatica compresi). Mancano dati complessivi più aggiornati, ma se il tasso di crescita europeo si avvicina a quello italiano, non si dovrebbe essere lontani dai 3 milioni di ettari (un'Emilia Romagna più le Marche, coltivate senza un grammo di sostanze chimiche di sintesi).

Come si coltivano i campi

In agricoltura biologica non si utilizzano sostanze chimiche di sintesi (concimi, diserbanti, anticrittogamici, insetticidi, pesticidi in genere). Alla difesa delle colture si prowede innanzitutto in via preventiva, selezionando specie rustiche e resistenti alle malattie, e intervenendo con tecniche di coltivazione appropriate,
come, per esempio: la rotazione delle colture (non coltivando consecutivamente la stessa pianta, ostacolando così da un lato l'ambientarsi dei parassiti, e dall'altro usando in modo più razionale e meno intensivo le sostanze nutrienti del terreno); la pianturnazione di siepi ed alberi (che, oltre a ricreare il paesaggio, danno ospitalità ai predatori naturali dei parassiti e fungono da barriera fisica a possibili inquinamenti esterni);
I fertilizzanti sono naturali, come il letame opportunamente compostato; nell'agricoltura convenzionale dei mega-allevamenti industriali il letame è considerato un rifiuto, e costituisce un enorme problema: non c'è terreno a sufficienza per smaltirlo. In agricoltura biologica, invece, costituisce una ricchezza insostituibile in sostanze nutrienti per il terreno. Si usano anche altre sostanze organiche compostate (sfalci, ecc.) e sovesci, cioè incorporazioni del terreno di piante appositamente seminate, come trifoglio 0 senape.
In caso di necessità, per la difesa delle colture si interviene con sostanze naturali vegetali, animali, 0 minerali: estratti di piante (ad esempio il piretro, che deriva da una pianta erbacea), insetti utili che predano i parassiti, farina di roccia 0 minerali naturali (come il rame e lo zolfo) per correggere struttura e caratteristiche chimiche del terreno o per difendere le coltivazioni dalle crittogame, ecc.

Come si allevano gli animali

Nell'Unione europea lo spazio a disposizione di una gallina ovaiola è di 450 centimetri quadrati. Se non ci si riflette, sembrano tanti. In realtà, in un foglio da fotocopie, di centimetri quadrati ce ne stanno 620. Facendo quattro conti, ci si rende conto che sullo spazio di un foglio protocollo, con la benedizione europea, passano l'intera loro vita tre galline.
Dice Franco Zecchinato, del Comitato. esecutivo dell'Aiab:
"Nei nostri disciplinari sono vietati il taglio del becco, le bruciature dei tendini delle ali e ogni altra mutilazione. È vietato mettere "occhiali" al pollame. È vietato l'uso di ogni sostanza di origine sintetica che favorisca la crescita o la produzione, che aumenti l'appetito 0 ostacoli lo sviluppo normale dell'animale. È vietata l'alimentazione contro la volontà (niente foie gras, insomma), i foraggi e i mangimi devono provenire da agricoltura biologica. È vietato l'uso di farmaci, alcali, acidi, ormoni, antibiotici, composti azotati, coloranti e altri prodotti farmaceutici di sintesi. È vietata l'alimentazione del bestiame con prodotti animali, salvo i lombrichi che i polli si trovano da soli. È obbligatorio garantite almeno otto ore continuative di riposo nel periodo di buio... Nei giorni di "pollo pazzo" siamo stati subissati di richieste di informazioni, e molti, leggendo le nostre norme, sono caduti dalle nuvole: a nessuno sarebbe venuto in mente che negli allevamenti si potesse tagliare il becco, si mettessero gli occhiali, si alimentassero i capi a forza, perdipiù con mangimi contenenti di tutto.
È invece la dura realtà di molti allevamenti convenzionali in batteria, in cui le condizioni di vita del bestiame rendono non infrequenti squilibri comportamentali che possono arrivare al cannibalismo. Le galline vengono occhialate per non distrarle dal loro compito di mangiare e deporre in continuazione. Si dice che molti bambini non hanno mai visto un vitello o un pollo vivo. Neppure molti adulti hanno mai messo il naso negli allevamenti industriali, delle vere e proprie fabbriche di carne, di latte e di uova.
Invece il prosciutto, l'uovo e la fettina di vitello provengono da un animale vero, al quale è dovuto rispetto per le sue esigenze etologiche e al quale si deve garan tire benessere."

Nell'allevamento biologico la scelta delle razze tiene conto della capacità di adattamento alle condizioni ambientali, della loro vitalità e resistenza alle malattie. La preferenza va a razze e tipi genetici autoctoni, tradizionalmente adatti allo specifico ambiente. La tutela della salute degli animali si basa sulla prevenzione, su condizioni di allevamento che garantiscano un'elevata resistenza alle malattie e che stimolino le difese naturali, con un'alimentazione equilibrata e idonea a soddisfare i fabbisogni.
Per ogni specie è stabilito lo spazio minimo vitale da garantire: oltre al pollaio coperto, ogni gallina deve disporre di almeno 5 metri quadrati di superficie erbosa. Per intenderci: mentre in un allevamento convenzionale 20 galline hanno a disposizione meno di 1 metro quadrati, in un allevamento biologico hanno a disposizione 100 metri quadrati, lo spazio di un bell'appartamento. Per ogni vitellone dev'esserci mezzo ettaro a disposizione: sempre per chi non è pratico di are e centiare, è uno spazio che equivale a 50 degli appartamenti di prima. Insomma, un altro modo di intendere l'allevamento e l'agricoltura.

Ma ci si può fidare?

L'agricoltura biologica è l'unica forma di agricoltura controllata in base a leggi europee e nazionali. Non sono controllate, infatti, né l'agricoltura convenzionale né l'agricoltura integrata. Nel biologico non ci si basa su dichiarazioni dell'azienda, ma su un Sistema di Controllo uniforme in tutta l'Unione Europea e stabilito, sia per la coltivazione delle piante che per l'allevamento degli animali, da appositi regolamenti della Comunità europea. L'azienda che vuole avviare la produzione biologica notifica la sua intenzione alla Regione e a uno degli organismi di controllo autorizzati (nove in tutta Italia).
L'organismo procede alla prima ispezione con propri tecnici specializzati, che esaminano l'azienda e prendono visione dei diversi appezzamenti, controllandone la rispondenza con i diversi documenti catastali, dei magazzini, delle stalle e di ogni altra struttura aziendale. Se dall'ispezione emerge il rispetto della normativa, l'azienda viene ammessa nel sistema di controllo, e awia la conversione, un periodo di disintossicazione del terreno che, a seconda dell'uso precedente di prodotti chimici e delle coltivazioni, può durare due o più anni.
Solo concluso questo periodo di conversione, il prodotto può essere commercializzato come di produzione biologica.
L'organismo provvede a più ispezioni l'anno, anche a sorpresa, e preleva campioni da sottoporre ad analisi. Solo le aziende controllate da organismi autorizzati possono definire le loro produzioni come provenienti da agricoltura biologica.
La legge prevede che l'organismo di controllo sia indipendente e non schierato "dalla parte dei produttori". Nella commissione di certificazione di AIAB, siedono un rappresentante dell'Associazione Italiana Qualità, il responsabile nazionale agricoltura del W.W.F., (come componente tecnicoscientifica), due rappresentanti delle associazioni dei consumatori (ACU Associazione consumatori utenti e Movimento consumatori) e due agricoltori: è chiaro che non c'è alcuno sbilanciamento verso i produttori. Alcuni organismi di controllo hanno inteso rafforzare l'immagine di trasparenza ed efficienza dei loro controlli, sottoponendosi alle procedure di ispezione e accreditamento (volontarie e non dovute) da parte di organismi nazionali ed internazionali di accreditamento.

Altre agricolture altre differenze

Controlli a parte, la differenza tra agricoltura biologica e le altre forme di agricoltura ritenute a basso impatto ambientale è sostanziale: la lotta integrata prevede un graduale abbandono della chimica combinando varie tecniche tra le quali la Zotta guidata (giungendo a riduzioni del 50% degli antiparassitari e del 25% dei fertilizzanti) e la lotta biologica (lancio nelle colture di insetti predatori dei litofagi).
In questo modo la lotta integrata, viene a costituire un addolcimento dell'agricoltura convenzionale, permettendo di usare meno prodotti chimici, ma non ne prevede l'eliminazione. Dato che i formulati di sintesi non sono biodegradabili, il problema dell'accumulo di residui inquinanti nell'ambiente è così solo posticipato e non certo eliminato.
L'ecosistema non è un bene rinnovabile all'infinito; l'uso della chimica di sintesi ne comporta un grave impoverimento, rendendo necessario l'uso di quantità sempre maggiori di fertilizzanti, finché gli appezzamenti privi di sostanza organica, si sterilizzano, si desertificano e non rendono più nulla. Non è uno scenario pessimista e non è particolarmente lontano dalla nostra realtà locale: la F.A.O. ha definito la Pianura Padana un deserto coltivato a mais. E se questo vale per i residui nell'ambiente vale anche, in differente misura, per i residui nei prodotti.
Tenute presenti da un lato le eccedenze del settore primario e dall'altro i gravissimi problemi ambientali e sanitari, i produttori biologici ritengono che non sia più il momento di produrre tanto, ma che sia ormai definitivamente giunto quello di produrre meglio. Una convinzione che cresce anche al di fuori del mondo del biologico.Oggi voi e io siamo qui per sostenere una visione: la visione di un 'Europa in cui il cibo è prodotto senza pesticidi e fertilizzanti chimici, in cui si dimostra che agli OGM e agli ormoni ci sono alternative, un 'Europa in cui le sostanze chimiche non inquinano il suolo, l 'acqua e la catena alimentare, e dove la biodiversità è difesa dall'assalto della chimica. Questa è un'Europa con spazi vitali sia per l 'uomo che per la natura. In breve, l'agricoltura biologica, è il nostro futuro".
Anche se la lapidarietà potrebbe trarre in inganno, non è un intervento a un'assemblea di produttori biologici. Si tratta di uno stralcio del discorso del Commissario europeo all'ambiente Ritt Bjerregaard alla conferenza "Agricoltura biologica nell'Unione Europea: prospettive per il XXI secolo" tenutasi a Baden (Austria) nel maggio 1999.
Qualche giorno prima, a Vignola, 70 partecipanti alla Conferenza internazionale sulla biodiversità, provenienti da 24 paesi, avevano approvato Ia dichiarazione e il piano d'azione intitolati "L'agricoltura biologica è essenziale per la biodiversità e la conservazione della natura".
Il documento conclusivo del workshop, organizzato dall'Aiab (Associazione ltaliana per l'Agricoltura Biologica, il maggior organismo nazionale del settore, con oltre 12 .OOO agricoltori associati), Ifoam (International Federation of Organic Agriculture Movements, l'organizzazione mondiale dei movimenti per l'agricoltura biologica, che associa 750 organizzazioni di 107 paesi del mondo) e Iucn (The World Conservation Union, che riunisce 74 governi, 105 agenzie governative e oltre 700 Organizzazione non governative attive a livello politico e scientifico nella protezione della natura) è chiaro:
L'agricoltura biologica mette in pratica il concetto della multifunzionalità, che include la valorizzazione della biodiversità, il benessere animale, la sicurezza alimentare, la produzione destinata al mercato, lo sviluppo rurale, il commercio equo e solidale. L'agricoltura biologica è fondamentale per uno sviluppo rurale sostenibile e cruciale per lo sviluppo futuro dell'agricoltura e per la sicurezza alimen tare.
L'agricoltura che non è basata su sistemi compatibili con l'ambiente e che dipende dall'utilizzo massiccio di prodotti chimici e sintetici, ha accelerato il degrado degli ecosistemi naturali. Le conseguenze negative dell'utilizzo di tali prodotti risultano evidenti nella diminuzione della diversità naturale e nella scomparsa di specie e di varietà coltivate.
Gli esperti ritengono che le specie si estinguano alla velocità di 20-75 al giorno: ciò significa che entro i prossimi 25 anni ne potrebbero scomparire più di un milione. L'impatto dell'agricoltura convenzionale è evidente su vasta scala; le monocolture hanno contribuito alla erosione della biodiversità e a banalizzare il paesaggio.
Affermiamo che l'agricoltura biologica è essenziale per la biodiversità e la conservazione della natura. Chiediamo agli ambientalisti, agli ecologisti, agli agricoltori, agli altri operatori economici, ai politici e alle istituzioni internazionali di sostenere e sviluppare l'agricoltura biologica in quanto sistema agricolo ecologicamente più appropriato. Invitiamo i consumatori ad appoggiare l'agricoltura sostenibile consumando i prodotti da agricoltura biologica quali alimenti, fibre tessili e legname".
A Roma, nel gennaio 1999 il documento conclusivo della riunione del Comitato per l'agricoltura della F.A.O. (l'organizzazione dell'O.N.U. che si occupa di agricoltura e alimentazione), sottolinea che l'agricoltura biologica promuove il dibattito a livello internazionale sulla sostenibilità, crea consapevolezza su temi ambientali e sociali di fondamentale importanza ed è in grado di fornire opportunità di mercato alle aziende. Il documento propone alla F.A.O. l'impegno a riconoscere all'agricoltura biologica un ruolo prevalente nei programmi di agricoltura sostenibile e chiede un programma multisettoriale per il biologico, per consentire agli stati membri di attuare scelte informate e di sviluppare un programma coerente.
Nel 1999 Ecology and Farming, rivista internazionale dell'Ifoam (International Federation of Organic Agriculture Movements) ha dedicato un numero intero agli aspetti di mercato delle produzioni biologiche e a un focus sull'Italia. Nell'editoriale, Joy Michaud dichiara che il settore biologico sta vivendo, al di là di ogni dubbio, un periodo di vero e proprio boom, con una domanda da parte del consumatore costantemente in crescita e senza segni di rallentamento e che "...l'ltalia sembra essere alla testa di tutti i Paesi europei, con una crescita del movimento biologico che ha del fenomenale". I numeri stanno a confermarlo: le 17.393 aziende italiane inserite nel sistema di controllo biologico nel 1996 sono passate a 31.118 nel 1997 (+79%) e a 43.698 nel 1998 (+40%).
Insomma, i massimi organismi internazionali sembrano non avere dubbi, e i numeri sembrano non lasciarne. Ma nonostante in Italia si concentri oltre un terzo delle aziende agricole biologiche d'Europa, è proprio qui da noi che qualche dubbio sembra esserci. Un esempio? Il divieto per i produttori biologici italiani dell'utilizzo di sabbia, olio essenziale di menta, olio di Neem o gelatina per la difesa delle coltivazioni.
La motivazione? Questi prodotti, pur se non propriamente mortiferi, non sono ufficialmente registrati al Ministero della Sanità come fitofarmaci... Una proposta di legge presentata un anno fa per risolvere il problema da Alfonso Pecoraro Scanio (presidente della Commissione agricoltura della Camera) e altri deputati, sta sgomitando in Parlamento, ma nel frattempo il per nulla terrificante olio di menta e il neem (estratto da una pianta, usato da millenni come insetticida e, più di recente, anche come ingrediente di dentifrici) rimangono tabù.
Sul versante promozionale, le campagne pubbliche per incentivare il consumo di prodotti convenzionali (bevete più latte, mangiate più pesce, consumate più frutta...) fanno il paio con il silenzio tombale sulle produzioni biologiche. Questi 44.000 contadini convinti che l'alternativa di un agricoltura senza pesticidi, senza ingegneria genetica, ormoni e altre turpitudini, sia possibile qui e adesso, sono così strani, così poco normali... Tornano, è vero, sotto i riflettori a ogni acquedotto chiuso per atrazina, a ogni residuo di fitofarmaci trovato nella frutta e nella verdura, a ogni vino al metanolo, a ogni mucca pazza, a ogni pollo alla diossina, a ogni ingegneria genetica, ma...
"Sì, l'orientamento degli organismi internazionali, dalla Fao all'Unione Europea, è evidente: quella biologica è l'unica agricoltura che ci possiamo permettere dal punto di vista ambientale ed economico" dice Vincenzo Vizioli, presidente federale AIAB."
Il problema è che l'importazione e la traduzione a livello nazionale delle raccomandazioni dell'Unione europea hanno tempi lunghi e metodi farraginosi. L'Italia deve iniziare a pensare l'agricoltura biologica come strumento per la gestione delle risorse e non solo a livello dei parchi naturali e delle aree protette. Noi non chiediamo ulteriori contributi economici alla produzione, non ci servono soldi. Quello che serve è un sostegno in termini di servizi, che salvo rari casi isolati, stato e regioni non forniscono. Siamo così all'assurdo che i produttori convenzionali ricevono contributi per pagare tecnici che indicano i fitofarmaci chimici da usare mentre i produttori biologici, oltre a dover sopportare di tasca propria i costi dei controlli che certificano l'assenza di sostanze di sintesi, devono pagare di tasca propria la ricerca, la sperimentazione e l'assistenza tecnica. Invece di chi inquina paga, nel biologico siamo all'assurdo del chi non inquina paga.

Un po' di storia e qualche numero

Anche se le prime pionieristiche esperienze risalgono agli anni 60, è verso gli anni 70 che l'Agricoltura Biologica in Italia diventa patrimonio di un manipolo di agricoltori e consumatori sempre più in crescita, all'interno delle riflessioni complessive sulla qualità della vita e dei consumi (i coloranti, le bioproteine, ecc.). È a metà di quel decennio che i primi coordinamenti locali diedero vita alla Commissione nazionale "Cos'è biologico", costituita da rappresentanti di organismi di tutte le regioni italiane e delle associazioni dei consumatori, che emanò la prima normativa nazionale di autodisciplina del settore.
Le numerose piccole associazioni di produttori biologici e coordinamenti di produttori e consumatori presenti in tutte le regioni, con l'entrata in vigore del Regolamento C.E.E. 2092 nel 1991 hanno avviato un processo di riorganizzazione, con accorpamenti e rapporti di federazione, che hanno condotto ai 9 organismi di controllo oggi riconosciuti. Due di questi organismi, AIAB e Bioagricoop, sono tra i quattordici enti al mondo accreditati dall'Ifoam (International Federation of Organic Agriculture Movements).
Altri due, Imc e Ccpb sono stati accreditati come organismo di controllo ai sensi delle norme Uni En 45011 sulla certificazione.
Le aziende biologiche italiane nel 1997 avevano superato le 31.000 unità su 565.000 ettari (quasi il 4% della super ficie coltivata nazionale) con ritmi di crescita di tutto rilievo. Al 31.12.98 (mancano, purtroppo, dati più aggiornati) le aziende erano 44.000, su 800.000 ettari (all'incirca la superficie di Val d'Aosta e Liguria messe assieme).
La crescita registrata dal biologico non ha eguali nel settore agroalimentare. Il maggior numero di consumatori, di negozi specializzati e di supermercati che trattano prodotti biologici si concentra nelle regioni settentrionali d'Italia, mentre le aziende di produzione hanno una presenza maggiore nelle regioni meridionali.

Nel 1997 le superfici erano così suddivise:
  • foraggere per alimentazione zootecnica 46.9%
  • cereali 22.9%
  • ortofrutta 7.7%
  • olivo 9.4%
  • vite 2.7%
  • colture da industria 10.4%

L'evoluzione del mercato

Il valore del mercato biologico italiano è stimato intorno ai 2.000 miliardi di lire. Il trend di crescita è notevole: negli ultimi quattro anni non è mai sceso sotto il 20%.
Gli scandali alimentari hanno il loro peso, come ammette senza difficoltà Severino Zaggia, che con la famiglia conduce un allevamento biologico di 200 vitelloni in provincia di Padova: "Lo scandalo del pollo alla diossina si è tradotto indubbiamente in un sensibile aumento di vendite per la carne biologica. Per la nostra azienda l'incremento della domanda si è aggirato intorno al 30%, riguardando sia la vendita diretta che le richieste delle macellerie".
Per Lucio Ceccarelli di CarneSì, una nuova catena di macellerie, l'incremento è stato ancora superiore: "Abbiamo toccato anche quota 60%. Si tratta di nuovi clienti, non dei tradizionali consumatori biologici, nella maggior parte dei casi sono di età compresa tra i 30 e i 50 anni, giovani famiglie con bambini".
Ma agli scandali si aggiunge una nuova tendenza di ricerca della qualità nell'alimentazione, che si sofferma sì su aspetti come la sicurezza alimentare e la salubrità, ma anche sulla naturalità, la tipicità, la ricoperta dei sapori autentici. E un'onda lunga: il referendum del 1990 sui pesticidi portò alle urne solo poco più del 43% degli aventi diritto, e venne così annullato, ma dimostrò che il 92% dei votanti (e cioè la rispettabile cifra di 38 milioni di italiani) intendeva modificare le leggi sui pesticidi e sui loro residui negli alimenti.
L'equazione 18 milioni di elettori contrari ai pesticidi =18 milioni di consumatori favorevoli ai prodotti biologici è immediata e affascinante, e tale da mandare in fibrillazione ogni ufficio marketing. Ad avvicinarsi al settore biologico sono così ora anche le grandi aziende agroalimentari, che sondano il mercato lanciando nuove linee di prodotti. L'equazione, però, non è ancora dimostrata: il consumo di prodotti biologici non vale ancora il 2% del mercato alimentare italiano.

La distribuzione e il consumo

Nel 1996 il mensile di marketing Largo Consumo ha pubblicato un'inchiesta da cui scaturiva che 70 consumatori italiani su 100 conoscevano il prodotto biologico e 40 lo acquistavano, con diversa frequenza: ad acquistarlo almeno una volta a settimana erano 4 italiani su 100. Dal 1996 il volume dei consumatori è sensibilmente aumentato, tant'è che si stima che ad acquistare prodotti biologici più volte a settimana siano ormai non meno di 6 italiani su 100. Ecco l'identikit del consumatore biologico medio: età tra i 30 ed i 45 anni, vive nell'Italia settentrionale, in città di media o grande dimensione, con cultura e reddito medi o medio alti.Il biologico nei negozi specializzati. I negozi specializzati in alimenti biologici sono circa 850, di cui circa 2 terzi nell'Italia del nord. Nella maggior parte si tratta di negozi di dimensioni ridotte (superficie inferiore a 100 mq) e a gestione autonoma, ma non mancano negozi più grandi (tra i 200 e i 500 mq). Il fenomeno del franchising interessa circa 50 negozi, affiliati a una mezza dozzina di minicatene regionali o nazionali.

Il biologico nei supermercati

Il primo sviluppo di una marca commerciale di ortofrutta di produzione biologica in Europa è dei 1994 (Monoprix con il marchio Monoprix Bio), seguita da Intermarchè, Cora e Carrefour (1997). Corner biologici sono presenti in Irma (dal 198 1 ), Tengelmann (dal 1989), Delhaize (dal 1990), Sainsbury's (dal 1985) Testo (dal 1994), Safeway e Waitrose, in Coop Svizzera e Migros, ma anche in Coop Giappone (in particolare in Coop Kobe). In Irma (Danimarca) gli ortaggi di produzione biologica rappresentano il 15% delle vendite del reparto, con picchi del 35% per le carote (in alcuni punti vendita le carote convenzionali non sono neppure esposte), in Svezia Grana Konsum ha sostituito il pane convenzionale più venduto con uno con il 100% di ingredienti di origine biologica. La catena con la linea biologica più articolata (circa 450 referenze biologiche dall'ortofrutta agli omogeneizzati) è la britannica Sainsbury's, che registra un fatturato di circa 6 miliardi di lire alla settimana.
"Abbiamo inserito le prime referenze biologiche 14 anni fa" - dice Robert Duxbury, responsabile della linea per la catena - "Dal 1996 l'incremento del reparto è stato di trenta volte: nessun altro settore in Sainsbury's si avvicina a questi livelli". Nei supermercati italiani, secondo un'indagine presentata alla fiera specializzata Sana (Bologna, settembre 98) i prodotti biologici (latticini, generi vari confezionati) sono presenti nel 95% dei punti vendita. L'ortofrutta biologica è invece presente in circa il 19% dei supermercati, soprattutto in nord Italia e in Toscana.
In sostanza, vendono ortofrutta biologica circa 500 supermercati. La prima catena a inserire ortofrutta biologica è stata Coop. Secondo dichiarazioni della catena, il peso del fatturato dell'ortofrutta biologica varia dal 1 al 6%. Nei supermercati, il peso medio del biologico è del 3%, con punte maggiori sui latticini. Nei mesi scorsi è stata la volta di Esselunga, che ha lanciato una linea composta di una settantina di prodotti, destinata ad ampliarsi con il gra dimento dei consumatori.

Al ristorante biologico

Numerosi ristoranti offrono qualche vino o altri prodotti biologici (il mensile Tuttoturismo li segnala con una bottiglia o una mela verdi). Esistono poi un centinaio di ristoranti esclusivamente o prevalentemente biologici, soprattutto al nord, al centro e nelle grandi città. Un fenomeno molto interessante, e in continuo aumento, è quello delle mense scolastiche biologiche. Nate come esperimento negli anni 80 a Cesena, interessano ormai circa 100.000 bambini dalle scuole materne alle scuole medie, in grandi città (Roma, Bologna, Torino, Padova) e piccoli centri.</ br>

La produzione e i prezzi

Più di un terzo della produzione biologica italiana viene esportato, principalmente in Europa, ma anche più lontano (Usa, Giappone...). I prodotti più apprezzati all'estero sono principalmente:
  • frutta e ortaggi (di alta qualità, grazie alle specifiche condizioni climatiche e alla professionalità dei produttori produzione);
  • l'olio extra vergine d'oliva; il vino (con eccellenti prodotti premiati alle più importanti rassegne vinicole internazionali);
  • i formaggi (dal Parmigiano Reggiano alle più rare specialità tradizionali);
  • la gastronomia (salse, condimenti della tradizione popolare e innovativi);
  • la pasta (integrale, bianca, semplice o aromatizzata):
  • gelati e surgelati;
  • frutta secca;
  • prodotti da industria, cereali, legumi.
Il settore della produzione si è modernizzato, costituendo consorzi e società per la commercializzazione, che concor dano con le singole aziende la programmazione delle produzioni. L'agricoltura biologica italiana ha effettuato investimenti consistenti per un progetto strategico che ha l'obiettivo di indirizzare con sicurezza, strumenti efficienti e adeguati lo sviluppo per i prossimi anni. Un'affermazione frequente è quella che il prodotto biologico costa di più.
"Sì, certo" ammette senza difficoltà Franco Zecchinato "ma basta tornare con la mente a quanto il consumatore ha scoperto in occasione del pollo alla diossina. Negli allevamenti industriali, con gli additivi energetici a base di grasso animale - quando va bene - il pollo schizza da 45 grammi a due chili e mezzo in 40 giorni. A noi per avere risultati analoghi servono ottanta giorni. Per fare un uovo si può scegliere di stipare venti galline in un metro quadrato o di dar loro spazio libero per pascolare. Ma credo che, mentre il nostro è sicuramente un pollo, cresciuto naturalmente, sia difficile definire ancora "pollo" quello convenzionale, e credo anche che l'uovo di galline sigillate in batteria non abbia nulla a che fare con quello di galline che razzolano in libertà. Il consumatore ha di fronte due alternative: acquistare alimenti che sono la pallida copia di quello che dovrebbero essere, checostano relativamente poco (e lasciano in tasca più denaro per acquistare altre pallide copie), o acquistane alimenti di produzione biologica, pagando il prezzo giusto per coprire i costi di una produzione eticamente ed ecologicamente sostenibile. Insomma, dobbiamo capire cosa c'è dentro e dietro ogni prodotto". E questo vale per tutti i prodotti.

Un'agricoltura per i giovani

L'agricoltura italiana è un'agricoltura di pensionati: i giovani lasciano le aziende convenzionali che rimangono senza ricambio generazionale, ma l'agricoltura biologica è in controtendenza.
"Da quando ne abbiamo memoria, la nostra famiglia ha sempre svolto l'attività di agricoltori e allevatori"- dice Severino Zaggia - "Nell'agricoltura convenzionale i giovani cercano di abbandonare il lavoro nei campi appena possibile, è un lavoro duro. spesso pericoloso e non di grandi soddisfazioni. Ma per noi essere contadini è motivo di orgoglio: abbiamo scelto di produrre biologicamente proprio perché l'agricoltura l'abbiamo nel sangue: l'agricoltura del futuro è biologica. L'ltalia non potrà mai mettersi in concorrenza con i Paesi che riescono a produrre a prezzi bassissimi grazie a un costo del lavoro, irrisorio, a aiuti statali, a controlli del tutto insufficienti su sicurezza del lavoro, e sostanze chimiche (Belgio a parte, basta ricordare che il DDT è ancora permesso in numerosi Paesi). Dobbiamo metterci in testa, invece, che è ora di produrre alimenti di qualità ineccepibile, non solo belli a vedersi, ma gustosi, sani, rispettosi dell'ambiente. Dieci anni fa metà degli acquedotti della Pianura padana era inquinata dall'atrazina usata nel mais, più di recente gli scarichi degli allevamenti hanno reso l'Adriatico una gelatina di alghe: il mondo agricolo deve capire che è ora di cambiare strada ".

Sunday, June 09, 2013

Una Spesa Bio

Lo scorso venerdì, avevo un appuntamento a Vimercate
Il venerdì mattina in piazza Marconi, a Vimercate, proprio dove c’è anche la stazione degli autobus, c’è un mercatino biologico di prodotti alimentari. Le bancarelle non sono molte ma tutte quante di aziende che si trovano in Brianza, nella campagna circostante.
Così ho approfittato per fare questa piccola spesa di verdure dell’Azienda Agricola Il Gelso di Mezzago, una spesa veramente a Kilometro Zero perché l’azienda si trova a non più di 10 km. da lì.
Che dire… Non ho preso molto, non avrei potuto, ma tutto quello che ho comprato era veramente buono, a cominciare dalle fragole belle e dolcissime.  Così buone che stasera me le sono mangiate tutte senza né limone, né zucchero, né panna e quindi non ho potuto immortalarle nella fotografia.
Se vi trovate da quelle parti un venerdì mattina, vi consiglio di approfittarne!


Io compro sempre biologico quando mi è possibile, anche se non sono sempre convinta della legislazione che in Italia norma questo settore e dell’affidabilità dei controlli.  La cosa più importante in realtà mi sembra conoscere la zona dove ci sono le coltivazioni e sapere qualche cosa sulla storia dei terreni e sulla falda acquifera della zona oltre che sull’azienda o sulle aziende di provenienza.
 Ci sono aree italiane dove tutto andrebbe bene ma che purtroppo sono comunque poco sane per la presenza nella falda acquifera di sostanze chimiche che negli anni sono state scaricate da aziende diverse, complice una legislazione ignorante prima e compiacente poi, ed anche l’attitudine tutta italiana di fregarsene del territorio e della salute della gente.
Non soltanto DDT, pesticidi ed erbicidi di diverso tipo, ma anche altri elementi chimici, alcuni dei quali molto pericolosi, che sono stati usati per lavorazioni diverse in ogni campo industriale, metalli pesanti, ecc. L’elenco è lungo e le aree interessate, ahimè, sono spesso proprio quelle che avevano la più apprezzata agricoltura del paese e i cui prodotti sono sempre stati pregiatissimi sin dall’antichità.

Monday, June 03, 2013

Il Garum

Il Garum é una salsa, la più famosa salsa dei tempi antichi e la più diffusa nell'impero romano. Era il ketchup di quei tempi, tutti la volevano e la usavano con tutto.
E' un esempio eccellente della capacità romana di diffondere mode, ma anche di trasformare un prodotto in una vera e propria avventura imprenditoriale su larga scala nell'impero. Una capacità che, a vedere da quello che sta succedendo in Italia oggi sembra proprio non esistere più.
Veniva venduto confezionato in anfore dalla forma caratteristica ed spesso, quando era di ottima qualità e di bel colore, veniva servito o conservato in bottiglie di vetro.
Ecco qualche notizia su che cos'era e su come era prodotto.


Nato forse negli insediamenti greci sulle rive del Ponto, il Garum (Γάρον in greco) era conosciuto più anticamente dai Romani anche come Muria, termine usato forse genericamente per le fermentazioni sotto l'azione del sale marino. Per molto tempo si è parlato male di questo condimento, ottenuto dalla fermentazione sotto sale di pesce di piccola taglia, uova di pesce ed anche parti meno pregiate o di scarto e sangue di pesci di grossa taglia come il tonno, che invece oltre ad essere un prodotto raffinato
e particolare assolveva a vari usi oltre a quello alimentare, non ultimo quello farmacologico sia per gli uomini che per gli animali avendo proprietà antinfiammatorie e disinfettanti simili alla tintura di iodio ed anche digestivo. Il Garum veniva usato contro la scabbia degli ovini, le ustioni recenti, i morsi di cane e coccodrillo, per guarire le ulcere, la dissenteria, come disinfettante intestinale o per malanni delle orecchie, avendo qualità antibiotiche. Columella nel suo De re rustica lo annovera tra i rimedi contro la pestifera labes che prende le cavalle e che in pochi giorni le conduce alla morte. La terapia consisteva nel versare quattro sestari di Garum (corrispondenti a circa 2 o 3 litri) nel naso dell'animale. Oggi sappiamo che la fermentazione può indebolire alcuni elementi nocivi dei cibi e trasformarne le qualità.
Questa preparazione è l'antenato di quasi tutte le salse mediterranee e perciò vale la pena saperne di più. Siamo fortunati, perché tanti importanti autori latini ne hanno parlato, spesso riportandone le ricette.

Era ottenuto dalla fermentazione del pesce, in origine alici ed un tipo di pesce di piccola taglia che i Greci chiamavano garos (γάρος) ma alcuni Garum particolarmente pregiati erano prodotti da uova di pesce, mitili ed anche pesci più grossi come sgombri e tonno mentre, sfruttando gli scarti di lavorazione gli stabilimenti di salatura del pesce ne ricavavano anche versioni più andanti per tutte le tasche. Era messo in commercio pronto all'uso come il ketchup di oggi e le migliori qualità non erano certamente a buon mercato.Piacque molto ai Romani che probabilmente lo conobbero grazie ai cuochi greci e se ne produsse in grande scala soprattutto sulle coste tirreniche della penisola italica e su quelle della Spagna ma anche in molte isole, sulle coste africane o sul mar Nero ed in Provenza alimentando  un commercio lucroso ed una vasta gamma di prodotti diversi a seconda dei pesci utilizzati, dei tempi di fermentazione e delle essenze aggiunte.
Si usava il Garum da solo ma anche combinato con vino ed aceto o allungato con acqua ed è noto che se ne aggiungeva all'olio per aromatizzarlo.
Tutti lo usavano, dai patrizi agli schiavi, ognuno secondo le possibilità economiche proprie o del padrone. In un frammento delle Geoponiche, opera del 900 dC che parla del mondo agricolo e di cui tra l'altro sono ignoti gli autori si dice:
[..]gettare in un recipiente interiora di pesce e piccoli pesci con sale e lasciare al sole mescolando frequentemente. Filtrare grossolanamente la salamoia in una cesta, dove rimane l'allec, la parte solida. Alcuni aggiungono anche due misure di vino vecchio per ogni misura di pesce. Se si ha bisogno di usare subito il garum senza tenerlo tanto al sole, si cuoce rapidamente mettendo il pesce in acqua di mare concentrata in modo che un uovo vi galleggi, fino a quando non sia ridotto abbastanza di volume, quindi si cola. Ma il fiore del garum si ottiene con le interiora, il sangue ed il siero dei tonni sopra cui si sparge sale e si fa macerare per due mesi.

Una salsa del tutto simile al Garum si trova oggi nei negozi che vendono prodotti provenienti dalla Tailandia e dal Vietnam dove si producono anche altre salse simili non esportate in occidente per il loro gusto estremo. E' la salsa Nuoc Mam molto diffusa in tutta l'Indocina la cui lavorazione, che coincide con quella della antica salsa romana, ha fatto nascere ipotesi su possibili antichi viaggiatori romani ed addirittura su un'antica legione dispersa nei territori orientali. Nelle Filippine la preparazione è ancora più vicina a quella del Garum originale.

Le fabbriche di Garum si trovavano sempre vicino agli allevamenti di pesce, alle tonnare o ai luoghi rinomati per la pesca ed alle saline: sul delta dell'Ebro in Spagna, a Pompei e lungo le coste della Campania, all'isola d'Elba, in Provenza, a Clazomene ed a Leptis Magna e sulla costa di Cartagine oltre che in Dalmazia ed in altre località del Mediterraneo. In molti di questi luoghi sono ancora visibili le rovine degli impianti di produzione di 2000 anni fa.
Il Garum vero e proprio era liquido, un liquido che cola. Da quì la confusione con il termine liquamen che in epoca classica con probabilità indicava semplicemente una emulsione di acqua e sale usata in cucina dove noi oggi usiamo sale fino. La produzione fu ripresa nel Medio Evo dai monasteri delle coste campane in Italia che, possedendo flotte da pesca importanti, mantennero ed affinarono la preparazione del Garum per sfruttare completamente il pescato.
Dalla sua lavorazione si otteneva anche un residuo più denso, simile forse alla pasta di acciughe, l'Hallec,  in Grecia chiamato ἄλιξ (alix) perché in origine si otteneva soprattutto dalle alici. Catone lo dava agli schiavi come companatico economico insieme alle olive ammaccate che cadevano per ultime dagli alberi, Orazio invece lo amava per accompagnare verdure fresche, rapanelli, lattughe e radici varie: ad Orazio, evidentemente piaceva il pinzimonio, per usare un termine attuale, insaporito con pasta di acciughe come si fa oggi a Roma per l'insalata di puntarelle. In una delle ricette dei libri di Apicio si mischia  il Garum con la senape per dare un tocco raffinato alle sarde arrostite, Varrone ne riporta una preparazione abbastanza semplice mentre Gargilio Marziale che ha scritto nel 250 dC ne fa la base di una salsa per la carne lessa. Dobbiamo a Marziale, nel De Medicina et de virtute herbarum, questa descrizione:
[...]si usino pesci grassi come sardine e sgombri cui vanno aggiunti, in porzione di ¹⁄з, interiora di pesci vari. Bisogna avere a disposizione una vasca ben impeciata, della capacità di una trentina di litri. Sul fondo della stessa vasca fare un alto strato di erbe aromatiche disseccate e dal sapore forte come aneto, coriandolo, finocchio, sedano, menta, pepe, zafferano, origano. Su questo fondo disporre le interiora e i pesci piccoli interi, mentre quelli più grossi vanno tagliati a pezzetti. Sopra si stende uno strato di sale alto due dita. Ripetere gli strati fino all'orlo del recipiente. Lasciare riposare al sole per sette giorni. Per altri venti giorni mescolare di sovente. Alla fine si ottiene un liquido piuttosto denso che è appunto il garum. Esso si conserverà a lungo.

Plinio il Vecchio nel Naturalis Historia lo mette tra le sostanze saline ed oltre a spiegarne l'origine elenca un certo numero di località famose per la sua produzione, i pesci più comunemente usati o tipici di alcune particolari produzioni e le qualità più rinomate. La sua definizione di liquor exquisitus ottenuto dalla macerazione di interiora di pesce insieme ad una osservazione non  benevola di Seneca in una sua lettera al figlio Lucilio hanno probabilmente alimentato l'idea che fosse pesce marcio ed in putrefazione, cosa che effettivamente poteva verificarsi quando non si usava la giusta dose di sale.
Catone scrisse molto e male della abitudine di condire un po' tutto con il Garum anche se lui stesso ne faceva uso e ne acquistava una qualità di terza scelta per i suoi schiavi. Era convinto che fosse una delle usanze peccaminose che, importate dai Greci, stavano corrompendo la romana semplicitas. I Romani, anche dopo averne acquisito i territori, non smisero mai di diffidare dei Greci: Timeo Danaos ac dona ferentes
Plinio racconta che il Garum  più buono era, secondo lui, il Garum sociorum, non un marchio di fabricazione ma semplicemente un termine per indicare che proveniva dalla Spagna dove si trovavano le più importanti produzioni di pesce salato che dominavano il mercato ittico dell'epoca. Era lavorato sulle coste iberiche da una società di origine fenicia, probabilmente tunisina anzi cartaginese, che lo esportava soprattutto in Italia: un prodotto molto costoso e ricercato preparato con gli sgombri che arrivando dall'Atlantico venivano intercettati dai pescatori lungo le coste spagnole e cartaginesi, come indica il nome particolare di Scombraria usato talvolta per questa particolare qualità.
Oltre al Garum sociorum se ne ricordano altre qualità, tra cui il pregiatissimo Fiore di Garum (Gari Flos), colatura semplice senza altri condimenti, il Garum castimoniale ottenuto da scaglie del pesce. Le migliori qualità erano costosissime, quasi quanto i più preziosi unguenti orientali e per questo si usava mescolarlo ad esempio con acqua (Hidrogarum), con vino (Oenogarum), con aceto (Oxigarum) ed anche con miele (Mellogarum) e spesso lo si aggiungeva all'olio per insaporirlo e preparare direttamente in tavola una sorta di vinaigrette.
Naturalmente non tutti  lo amavano. Seneca scrive con enfasi a Lucilio: quel Garum sociorum, preziosa poltiglia di pesci guasti, non credi che  ti bruci le budella? (illud sociorum garum, pretiosam malorum piscium saniem, non credis urere salsa tibi praecordia?). Per dirla latinamente,de gustibus disputandum non est !
Le qualità più stagionate probabilmente si allontanavano dal sapore originario del pesce ed avevano bouquet complessi, come si direbbe oggi, come succede oggi all'aceto balsamico di Modena che subisce fermentazioni e stagionature altrettanto lunghe ed elaborate e che ai nostri tempi potremmo definire un Garum moderno perché gli chef tendono spesso ad usarlo in modo quasi invadente in ogni menù o preparazione.

E' indubbio che molte salse ed abitudini alimentari mediterranee siano riportabili al Garum e senza andare fino in Indocina nella nostra cucina troviamo prodotti molto simili ed alcuni Garum autentici ed attuali. Prima fra tutti la famosa e squisita Colatura di Alici, fiore all'occhiello di Cetara bellissimo paese della costiera amalfitana, che è un tipo molto raffinato di Garum originale ricavato da alici pescate soprattutto in un determinato periodo dell'anno e la cui produzione artigianale, poco dissimile da quella antica, è nelle mani di manifatture familliari sostenute dalla Municipalità. Ma tante altre preparazioni, anche non mediterranee, gli sono collegate a volte per il modo di preparazione altre volte per il gusto. Citerò soltanto alcuni esempi presenti in questi territori come la Bottarga, il condimento del'insalata romana di puntarelle, la  Anchoïde  provenzale, la Taramosalada greca (Ταραμοσαλάδα) e la stessa Bagna Caôda, la più famosa salsa piemontese dove aglio, olio e acciughe sotto sale si fondono in una sapore forte ed allo stesso tempo delicato ottima per intingervi le verdure di stagione.
Tutto questo dovrebbe spingerci ad abbandonare la diffidenza ed a rivalutare questa antica preparazione che ha anche non poche proprietà farmacologiche.
L'uso del Garum dopo il 500 dC, salvo poche eccezioni, fu abbandonato nei territori che erano stati dell'impero romano d'occidente ma continuò in quelli dell'impero bizantino e fu ripreso anche dagli Ottomani dopo la presa di Costantinopoli.
Con l'avvento dell'Impero Ottomano, le nuove consuetudini  di vita e l'applicazione di una diversa legislazione sulla pesca portarono rapidamente all'oblio molti alimenti di origine ittica tra cui questa famosa salsa.

da Cucina Mediterranea - La Storia nel Piatto.