Oggi si parla tanto di cibi biologici o biodinamici, ma sapiamo davvero che cosa significa?
Ho crato uno spazio GREEN nel blog dove via via raccoglierò i link  ai post cheriguardano l'argomento oppure ai siti interessanti a questo riguardo.
Intanto cerchiamo di sciogliere alcuni dubbi:
Che cos'è l'Agricoltura Biologica
Dal  1993 al 1997 la superficie coltivata biologicamente in Europa è passata  da 890.000  a 2,2 milioni di ettari (per intenderci, l'equivalente del  territorio dell'Emilia Romagna, Appennini e riviera adriatica compresi).  Mancano dati complessivi più aggiornati, ma se il tasso di crescita  europeo si avvicina a quello italiano, non si dovrebbe essere lontani  dai 3 milioni di ettari (un'Emilia Romagna più le Marche, coltivate  senza un grammo di sostanze chimiche di sintesi).
Come si coltivano i campi
In  agricoltura biologica non si utilizzano sostanze chimiche di sintesi  (concimi, diserbanti, anticrittogamici, insetticidi, pesticidi in  genere). Alla difesa delle colture si prowede innanzitutto in via  preventiva, selezionando specie rustiche e resistenti alle malattie, e  intervenendo con tecniche di coltivazione appropriate,
come,  per esempio: la rotazione delle colture (non coltivando  consecutivamente la stessa pianta, ostacolando così da un lato  l'ambientarsi dei parassiti, e dall'altro usando in modo più razionale e  meno intensivo le sostanze nutrienti del terreno); la pianturnazione di  siepi ed alberi (che, oltre a ricreare il paesaggio, danno ospitalità  ai predatori naturali dei parassiti e fungono da barriera fisica a  possibili inquinamenti esterni); 
I fertilizzanti sono naturali,  come il letame opportunamente compostato; nell'agricoltura convenzionale  dei mega-allevamenti industriali il letame è considerato un rifiuto, e  costituisce un enorme problema: non c'è terreno a sufficienza per  smaltirlo. In agricoltura biologica, invece, costituisce una ricchezza  insostituibile in sostanze nutrienti per il terreno. Si usano anche  altre sostanze organiche compostate (sfalci, ecc.) e sovesci, cioè  incorporazioni del terreno di piante appositamente seminate, come  trifoglio 0 senape.
In caso di necessità, per la difesa delle  colture si interviene con sostanze naturali vegetali, animali, 0  minerali: estratti di piante (ad esempio il piretro, che deriva da una  pianta erbacea), insetti utili che predano i parassiti, farina di roccia  0 minerali naturali (come il rame e lo zolfo) per correggere struttura e  caratteristiche chimiche del terreno o per difendere le coltivazioni  dalle crittogame, ecc.
Come si allevano gli animali
Nell'Unione  europea lo spazio a disposizione di una gallina ovaiola è di 450  centimetri quadrati. Se non ci si riflette, sembrano tanti. In realtà,  in un foglio da fotocopie, di centimetri quadrati ce ne stanno 620.  Facendo quattro conti, ci si rende conto che sullo spazio di un foglio  protocollo, con la benedizione europea, passano l'intera loro vita tre  galline. 
Dice Franco Zecchinato, del Comitato. esecutivo dell'Aiab:
"Nei  nostri disciplinari sono vietati il taglio del becco, le bruciature dei  tendini delle ali e ogni altra mutilazione. È vietato mettere  "occhiali" al pollame. È vietato l'uso di ogni sostanza di origine  sintetica che favorisca la crescita o la produzione, che aumenti  l'appetito 0 ostacoli lo sviluppo normale dell'animale. È vietata  l'alimentazione contro la volontà (niente foie gras, insomma), i foraggi  e i mangimi devono provenire da agricoltura biologica. È vietato l'uso  di farmaci, alcali, acidi, ormoni, antibiotici, composti azotati,  coloranti e altri prodotti farmaceutici di sintesi. È vietata  l'alimentazione del bestiame con prodotti animali, salvo i lombrichi che  i polli si trovano da soli. È obbligatorio garantite almeno otto ore  continuative di riposo nel periodo di buio... Nei giorni di "pollo  pazzo" siamo stati subissati di richieste di informazioni, e molti,  leggendo le nostre norme, sono caduti dalle nuvole: a nessuno sarebbe  venuto in mente che negli allevamenti si potesse tagliare il becco, si  mettessero gli occhiali, si alimentassero i capi a forza, perdipiù con  mangimi contenenti di tutto.
È invece la dura realtà di molti allevamenti convenzionali in batteria, in cui le condizioni di vita del bestiame rendono non infrequenti squilibri comportamentali che possono arrivare al cannibalismo. Le galline vengono occhialate per non distrarle dal loro compito di mangiare e deporre in continuazione. Si dice che molti bambini non hanno mai visto un vitello o un pollo vivo. Neppure molti adulti hanno mai messo il naso negli allevamenti industriali, delle vere e proprie fabbriche di carne, di latte e di uova.
Invece il prosciutto, l'uovo e la fettina di vitello provengono da un animale vero, al quale è dovuto rispetto per le sue esigenze etologiche e al quale si deve garan tire benessere."
È invece la dura realtà di molti allevamenti convenzionali in batteria, in cui le condizioni di vita del bestiame rendono non infrequenti squilibri comportamentali che possono arrivare al cannibalismo. Le galline vengono occhialate per non distrarle dal loro compito di mangiare e deporre in continuazione. Si dice che molti bambini non hanno mai visto un vitello o un pollo vivo. Neppure molti adulti hanno mai messo il naso negli allevamenti industriali, delle vere e proprie fabbriche di carne, di latte e di uova.
Invece il prosciutto, l'uovo e la fettina di vitello provengono da un animale vero, al quale è dovuto rispetto per le sue esigenze etologiche e al quale si deve garan tire benessere."
Nell'allevamento  biologico la scelta delle razze tiene conto della capacità di  adattamento alle condizioni ambientali, della loro vitalità e resistenza  alle malattie. La preferenza va a razze e tipi genetici autoctoni,  tradizionalmente adatti allo specifico ambiente. La tutela della salute  degli animali si basa sulla prevenzione, su condizioni di allevamento  che garantiscano un'elevata resistenza alle malattie e che stimolino le  difese naturali, con un'alimentazione equilibrata e idonea a soddisfare i  fabbisogni.
Per ogni specie è stabilito lo spazio minimo vitale  da garantire: oltre al pollaio coperto, ogni gallina deve disporre di  almeno 5 metri quadrati di superficie erbosa. Per intenderci: mentre in  un allevamento convenzionale 20 galline hanno a disposizione meno di 1  metro quadrati, in un allevamento biologico hanno a disposizione 100   metri quadrati, lo spazio di un bell'appartamento. Per ogni vitellone  dev'esserci mezzo ettaro a disposizione: sempre per chi non è pratico di  are e centiare, è uno spazio che equivale a 50 degli appartamenti di  prima. Insomma, un altro modo di intendere l'allevamento e  l'agricoltura. 
Ma ci si può fidare?
L'agricoltura  biologica è l'unica forma di agricoltura controllata in base a leggi  europee e nazionali. Non sono controllate, infatti, né l'agricoltura  convenzionale né l'agricoltura integrata. Nel biologico non ci si basa  su dichiarazioni dell'azienda, ma su un Sistema di Controllo uniforme in  tutta l'Unione Europea e stabilito, sia per la coltivazione delle  piante che per l'allevamento degli animali, da appositi regolamenti  della Comunità europea. L'azienda che vuole avviare la produzione  biologica notifica la sua intenzione alla Regione e a uno degli  organismi di controllo autorizzati (nove in tutta Italia).
L'organismo  procede alla prima ispezione con propri tecnici specializzati, che  esaminano l'azienda e prendono visione dei diversi appezzamenti,  controllandone la rispondenza con i diversi documenti catastali, dei  magazzini, delle stalle e di ogni altra struttura aziendale. Se  dall'ispezione emerge il rispetto della normativa, l'azienda viene  ammessa nel sistema di controllo, e awia la conversione, un periodo di  disintossicazione del terreno che, a seconda dell'uso precedente di  prodotti chimici e delle coltivazioni, può durare due o più anni.
Solo concluso questo periodo di conversione, il prodotto può essere commercializzato come di produzione biologica.
L'organismo  provvede a più ispezioni l'anno, anche a sorpresa, e preleva campioni  da sottoporre ad analisi. Solo le aziende controllate da organismi  autorizzati possono definire le loro produzioni come provenienti da  agricoltura biologica.
La legge prevede che l'organismo di  controllo sia indipendente e non schierato "dalla parte dei produttori".  Nella commissione di certificazione di AIAB, siedono un rappresentante  dell'Associazione Italiana Qualità, il responsabile nazionale  agricoltura del W.W.F., (come componente tecnicoscientifica), due  rappresentanti delle associazioni dei consumatori (ACU Associazione  consumatori utenti e Movimento consumatori) e due agricoltori: è chiaro  che non c'è alcuno sbilanciamento verso i produttori. Alcuni organismi  di controllo hanno inteso rafforzare l'immagine di trasparenza ed  efficienza dei loro controlli, sottoponendosi alle procedure di  ispezione e accreditamento (volontarie e non dovute) da parte di  organismi nazionali ed internazionali di accreditamento.
Altre agricolture altre differenze
Controlli  a parte, la differenza tra agricoltura biologica e le altre forme di  agricoltura ritenute a basso impatto ambientale è sostanziale: la lotta  integrata prevede un graduale abbandono della chimica combinando varie  tecniche tra le quali la Zotta guidata (giungendo a riduzioni del 50%  degli antiparassitari e del 25% dei fertilizzanti) e la lotta biologica  (lancio nelle colture di insetti predatori dei litofagi).
In  questo modo la lotta integrata, viene a costituire un addolcimento  dell'agricoltura convenzionale, permettendo di usare meno prodotti  chimici, ma non ne prevede l'eliminazione. Dato che i formulati di  sintesi non sono biodegradabili, il problema dell'accumulo di residui  inquinanti nell'ambiente è così solo posticipato e non certo eliminato.
L'ecosistema non è un bene rinnovabile all'infinito;  l'uso della chimica di sintesi ne comporta un grave impoverimento,  rendendo necessario l'uso di quantità sempre maggiori di fertilizzanti,  finché gli appezzamenti privi di sostanza organica, si sterilizzano, si  desertificano e non rendono più nulla. Non è uno scenario pessimista e  non è particolarmente lontano dalla nostra realtà locale: la F.A.O. ha definito la Pianura Padana un deserto coltivato a mais. E se questo vale per i residui nell'ambiente vale anche, in differente misura, per i residui nei prodotti.
Tenute  presenti da un lato le eccedenze del settore primario e dall'altro i  gravissimi problemi ambientali e sanitari, i produttori biologici  ritengono che non sia più il momento di produrre tanto, ma che sia ormai  definitivamente giunto quello di produrre meglio. Una convinzione che  cresce anche al di fuori del mondo del biologico.Oggi voi e io siamo qui  per sostenere una visione: la visione di un 'Europa in cui il cibo è  prodotto senza pesticidi e fertilizzanti chimici, in cui si dimostra che  agli OGM e agli ormoni ci sono alternative, un 'Europa in cui le  sostanze chimiche non inquinano il suolo, l 'acqua e la catena  alimentare, e dove la biodiversità è difesa dall'assalto della chimica.  Questa è un'Europa con spazi vitali sia per l 'uomo che per la natura.  In breve, l'agricoltura biologica, è il nostro futuro".
Anche se  la lapidarietà potrebbe trarre in inganno, non è un intervento a  un'assemblea di produttori biologici. Si tratta di uno stralcio del  discorso del Commissario europeo all'ambiente Ritt Bjerregaard alla  conferenza "Agricoltura biologica nell'Unione Europea: prospettive per il XXI secolo" tenutasi a Baden (Austria) nel maggio 1999.
Qualche  giorno prima, a Vignola, 70 partecipanti alla Conferenza internazionale  sulla biodiversità, provenienti da 24 paesi, avevano approvato Ia  dichiarazione e il piano d'azione intitolati "L'agricoltura biologica è essenziale per la biodiversità e la conservazione della natura".
Il documento conclusivo del workshop, organizzato dall'Aiab (Associazione ltaliana per l'Agricoltura Biologica, il maggior organismo nazionale del settore, con oltre 12 .OOO agricoltori associati), Ifoam (International Federation of Organic Agriculture Movements, l'organizzazione mondiale dei movimenti per l'agricoltura biologica, che associa 750 organizzazioni di 107 paesi del mondo) e Iucn (The World Conservation Union,  che riunisce 74 governi, 105 agenzie governative e oltre 700  Organizzazione non governative attive a livello politico e scientifico  nella protezione della natura) è chiaro:
L'agricoltura biologica  mette in pratica il concetto della multifunzionalità, che include la  valorizzazione della biodiversità, il benessere animale, la sicurezza  alimentare, la produzione destinata al mercato, lo sviluppo rurale, il  commercio equo e solidale. L'agricoltura biologica è fondamentale per  uno sviluppo rurale sostenibile e cruciale per lo sviluppo futuro  dell'agricoltura e per la sicurezza alimen tare.
L'agricoltura che  non è basata su sistemi compatibili con l'ambiente e che dipende  dall'utilizzo massiccio di prodotti chimici e sintetici, ha accelerato  il degrado degli ecosistemi naturali. Le conseguenze negative  dell'utilizzo di tali prodotti risultano evidenti nella diminuzione  della diversità naturale e nella scomparsa di specie e di varietà  coltivate.
Gli esperti ritengono che le specie si estinguano alla  velocità di 20-75 al giorno: ciò significa che entro i prossimi 25 anni  ne potrebbero scomparire più di un milione. L'impatto dell'agricoltura  convenzionale è evidente su vasta scala; le monocolture hanno  contribuito alla erosione della biodiversità e a banalizzare il  paesaggio.
Affermiamo che l'agricoltura biologica è essenziale per  la biodiversità e la conservazione della natura. Chiediamo agli  ambientalisti, agli ecologisti, agli agricoltori, agli altri operatori  economici, ai politici e alle istituzioni internazionali di sostenere e  sviluppare l'agricoltura biologica in quanto sistema agricolo  ecologicamente più appropriato. Invitiamo i consumatori ad appoggiare  l'agricoltura sostenibile consumando i prodotti da agricoltura biologica  quali alimenti, fibre tessili e legname".
A Roma, nel gennaio  1999 il documento conclusivo della riunione del Comitato per  l'agricoltura della F.A.O. (l'organizzazione dell'O.N.U. che si occupa  di agricoltura e alimentazione), sottolinea che l'agricoltura biologica  promuove il dibattito a livello internazionale sulla sostenibilità, crea  consapevolezza su temi ambientali e sociali di fondamentale importanza  ed è in grado di fornire opportunità di mercato alle aziende. Il  documento propone alla F.A.O. l'impegno a riconoscere all'agricoltura  biologica un ruolo prevalente nei programmi di agricoltura sostenibile e  chiede un programma multisettoriale per il biologico, per consentire  agli stati membri di attuare scelte informate e di sviluppare un  programma coerente.
Nel 1999 Ecology and Farming, rivista  internazionale dell'Ifoam (International Federation of Organic  Agriculture Movements) ha dedicato un numero intero agli aspetti di  mercato delle produzioni biologiche e a un focus sull'Italia.  Nell'editoriale, Joy Michaud dichiara che il settore biologico sta  vivendo, al di là di ogni dubbio, un periodo di vero e proprio boom, con  una domanda da parte del consumatore costantemente in crescita e senza  segni di rallentamento e che "...l'ltalia sembra essere alla testa di tutti i Paesi europei, con una crescita del movimento biologico che ha del fenomenale".  I numeri stanno a confermarlo: le 17.393 aziende italiane inserite nel  sistema di controllo biologico nel 1996 sono passate a 31.118 nel 1997  (+79%) e a 43.698 nel 1998 (+40%).
Insomma, i massimi organismi  internazionali sembrano non avere dubbi, e i numeri sembrano non  lasciarne. Ma nonostante in Italia si concentri oltre un terzo delle  aziende agricole biologiche d'Europa, è proprio qui da noi che qualche  dubbio sembra esserci. Un esempio? Il divieto per i produttori biologici  italiani dell'utilizzo di sabbia, olio essenziale di menta, olio di  Neem o gelatina per la difesa delle coltivazioni.
La motivazione?  Questi prodotti, pur se non propriamente mortiferi, non sono  ufficialmente registrati al Ministero della Sanità come fitofarmaci...  Una proposta di legge presentata un anno fa per risolvere il problema da  Alfonso Pecoraro Scanio (presidente della Commissione agricoltura della  Camera) e altri deputati, sta sgomitando in Parlamento, ma nel  frattempo il per nulla terrificante olio di menta e il neem (estratto da  una pianta, usato da millenni come insetticida e, più di recente, anche  come ingrediente di dentifrici) rimangono tabù.
Sul versante  promozionale, le campagne pubbliche per incentivare il consumo di  prodotti convenzionali (bevete più latte, mangiate più pesce, consumate  più frutta...) fanno il paio con il silenzio tombale sulle produzioni  biologiche. Questi 44.000 contadini convinti che l'alternativa di un  agricoltura senza pesticidi, senza ingegneria genetica, ormoni e altre  turpitudini, sia possibile qui e adesso, sono così strani, così poco  normali... Tornano, è vero, sotto i riflettori a ogni acquedotto chiuso  per atrazina, a ogni residuo di fitofarmaci trovato nella frutta e nella  verdura, a ogni vino al metanolo, a ogni mucca pazza, a ogni pollo alla  diossina, a ogni ingegneria genetica, ma...
"Sì,  l'orientamento degli organismi internazionali, dalla Fao all'Unione  Europea, è evidente: quella biologica è l'unica agricoltura che ci  possiamo permettere dal punto di vista ambientale ed economico" dice  Vincenzo Vizioli, presidente federale AIAB."
Il problema è che  l'importazione e la traduzione a livello nazionale delle  raccomandazioni dell'Unione europea hanno tempi lunghi e metodi  farraginosi. L'Italia deve iniziare a pensare l'agricoltura biologica  come strumento per la gestione delle risorse e non solo a livello dei  parchi naturali e delle aree protette. Noi non chiediamo ulteriori  contributi economici alla produzione, non ci servono soldi. Quello che  serve è un sostegno in termini di servizi, che salvo rari casi isolati,  stato e regioni non forniscono. Siamo così all'assurdo che i produttori  convenzionali ricevono contributi per pagare tecnici che indicano i  fitofarmaci chimici da usare mentre i produttori biologici, oltre a  dover sopportare di tasca propria i costi dei controlli che certificano  l'assenza di sostanze di sintesi, devono pagare di tasca propria la  ricerca, la sperimentazione e l'assistenza tecnica. Invece di chi inquina paga, nel biologico siamo all'assurdo del chi non inquina paga.
Un po' di storia e qualche numero
Anche  se le prime pionieristiche esperienze risalgono agli anni 60, è verso  gli anni 70 che l'Agricoltura Biologica in Italia diventa patrimonio di  un manipolo di agricoltori e consumatori sempre più in crescita,  all'interno delle riflessioni complessive sulla qualità della vita e dei  consumi (i coloranti, le bioproteine, ecc.). È a metà di quel decennio  che i primi coordinamenti locali diedero vita alla Commissione nazionale  "Cos'è biologico", costituita da rappresentanti di organismi di  tutte le regioni italiane e delle associazioni dei consumatori, che  emanò la prima normativa nazionale di autodisciplina del settore.
Le  numerose piccole associazioni di produttori biologici e coordinamenti  di produttori e consumatori presenti in tutte le regioni, con l'entrata  in vigore del Regolamento C.E.E. 2092 nel 1991 hanno avviato un processo  di riorganizzazione, con accorpamenti e rapporti di federazione, che  hanno condotto ai 9 organismi di controllo oggi riconosciuti. Due di  questi organismi, AIAB e Bioagricoop, sono tra i quattordici enti al  mondo accreditati dall'Ifoam (International Federation of Organic  Agriculture Movements).
Altri due, Imc e Ccpb sono stati accreditati come organismo di controllo ai sensi delle norme Uni En 45011 sulla certificazione.
Le  aziende biologiche italiane nel 1997 avevano superato le 31.000 unità  su 565.000 ettari (quasi il 4% della super ficie coltivata nazionale)  con ritmi di crescita di tutto rilievo. Al 31.12.98 (mancano, purtroppo,  dati più aggiornati) le aziende erano 44.000, su 800.000  ettari  (all'incirca la superficie di Val d'Aosta e Liguria messe assieme).
La  crescita registrata dal biologico non ha eguali nel settore  agroalimentare. Il maggior numero di consumatori, di negozi  specializzati e di supermercati che trattano prodotti biologici si  concentra nelle regioni settentrionali d'Italia, mentre le aziende di  produzione hanno una presenza maggiore nelle regioni meridionali.
Nel 1997 le superfici erano così suddivise:
- foraggere per alimentazione zootecnica 46.9%
- cereali 22.9%
- ortofrutta 7.7%
- olivo 9.4%
- vite 2.7%
- colture da industria 10.4%
L'evoluzione del mercato
Il  valore del mercato biologico italiano è stimato intorno ai 2.000  miliardi di lire. Il trend di crescita è notevole: negli ultimi quattro  anni non è mai sceso sotto il 20%.
Gli scandali alimentari hanno  il loro peso, come ammette senza difficoltà Severino Zaggia, che con la  famiglia conduce un allevamento biologico di 200 vitelloni in provincia  di Padova: "Lo scandalo del pollo alla diossina si è tradotto  indubbiamente in un sensibile aumento di vendite per la carne biologica.  Per la nostra azienda l'incremento della domanda si è aggirato intorno  al 30%, riguardando sia la vendita diretta che le richieste delle  macellerie".
Per Lucio Ceccarelli di CarneSì, una nuova catena di macellerie, l'incremento è stato ancora superiore: "Abbiamo  toccato anche quota 60%. Si tratta di nuovi clienti, non dei  tradizionali consumatori biologici, nella maggior parte dei casi sono di  età compresa tra i 30 e i 50 anni, giovani famiglie con bambini".
Ma  agli scandali si aggiunge una nuova tendenza di ricerca della qualità  nell'alimentazione, che si sofferma sì su aspetti come la sicurezza  alimentare e la salubrità, ma anche sulla naturalità, la tipicità, la  ricoperta dei sapori autentici. E un'onda lunga: il referendum del 1990  sui pesticidi portò alle urne solo poco più del 43% degli aventi  diritto, e venne così annullato, ma dimostrò che il 92% dei votanti (e  cioè la rispettabile cifra di 38 milioni di italiani) intendeva  modificare le leggi sui pesticidi e sui loro residui negli alimenti.
L'equazione  18 milioni di elettori contrari ai pesticidi =18 milioni di consumatori  favorevoli ai prodotti biologici è immediata e affascinante, e tale da  mandare in fibrillazione ogni ufficio marketing. Ad avvicinarsi al  settore biologico sono così ora anche le grandi aziende agroalimentari,  che sondano il mercato lanciando nuove linee di prodotti. L'equazione,  però, non è ancora dimostrata: il consumo di prodotti biologici non vale  ancora il 2% del mercato alimentare italiano.
La distribuzione e il consumo
Nel  1996 il mensile di marketing Largo Consumo ha pubblicato un'inchiesta  da cui scaturiva che 70 consumatori italiani su 100 conoscevano il  prodotto biologico e 40 lo acquistavano, con diversa frequenza: ad  acquistarlo almeno una volta a settimana erano 4 italiani su 100. Dal  1996 il volume dei consumatori è sensibilmente aumentato, tant'è che si  stima che ad acquistare prodotti biologici più volte a settimana siano  ormai non meno di 6 italiani su 100. Ecco l'identikit del consumatore  biologico medio: età tra i 30 ed i 45 anni, vive nell'Italia  settentrionale, in città di media o grande dimensione, con cultura e  reddito medi o medio alti.Il biologico nei negozi specializzati. I  negozi specializzati in alimenti biologici sono circa 850, di cui circa 2  terzi nell'Italia del nord. Nella maggior parte si tratta di negozi di  dimensioni ridotte (superficie inferiore a 100 mq) e a gestione  autonoma, ma non mancano negozi più grandi (tra i 200 e i 500 mq). Il  fenomeno del franchising interessa circa 50 negozi, affiliati a una  mezza dozzina di minicatene regionali o nazionali.
Il biologico nei supermercati
Il  primo sviluppo di una marca commerciale di ortofrutta di produzione  biologica in Europa è dei 1994 (Monoprix con il marchio Monoprix Bio),  seguita da Intermarchè, Cora e Carrefour (1997). Corner biologici sono  presenti in Irma (dal 198 1 ), Tengelmann (dal 1989), Delhaize (dal  1990), Sainsbury's (dal 1985) Testo (dal 1994), Safeway e Waitrose, in  Coop Svizzera e Migros, ma anche in Coop Giappone (in particolare in  Coop Kobe). In Irma (Danimarca) gli ortaggi di produzione biologica  rappresentano il 15% delle vendite del reparto, con picchi del 35% per  le carote (in alcuni punti vendita le carote convenzionali non sono  neppure esposte), in Svezia Grana Konsum ha sostituito il pane  convenzionale più venduto con uno con il 100% di ingredienti di origine  biologica. La catena con la linea biologica più articolata (circa 450  referenze biologiche dall'ortofrutta agli omogeneizzati) è la britannica  Sainsbury's, che registra un fatturato di circa 6 miliardi di lire alla  settimana.
"Abbiamo inserito le prime referenze biologiche 14 anni fa" - dice Robert Duxbury, responsabile della linea per la catena - "Dal 1996 l'incremento del reparto è stato di trenta volte: nessun altro settore in Sainsbury's si avvicina a questi livelli".  Nei supermercati italiani, secondo un'indagine presentata alla fiera  specializzata Sana (Bologna, settembre 98) i prodotti biologici  (latticini, generi vari confezionati) sono presenti nel 95% dei punti  vendita. L'ortofrutta biologica è invece presente in circa il 19% dei  supermercati, soprattutto in nord Italia e in Toscana.
In  sostanza, vendono ortofrutta biologica circa 500 supermercati. La prima  catena a inserire ortofrutta biologica è stata Coop. Secondo  dichiarazioni della catena, il peso del fatturato dell'ortofrutta  biologica varia dal 1 al 6%. Nei supermercati, il peso medio del  biologico è del 3%, con punte maggiori sui latticini. Nei mesi scorsi è  stata la volta di Esselunga, che ha lanciato una linea composta di una  settantina di prodotti, destinata ad ampliarsi con il gra dimento dei  consumatori.
Al ristorante biologico
Numerosi  ristoranti offrono qualche vino o altri prodotti biologici (il mensile  Tuttoturismo li segnala con una bottiglia o una mela verdi). Esistono  poi un centinaio di ristoranti esclusivamente o prevalentemente  biologici, soprattutto al nord, al centro e nelle grandi città. Un  fenomeno molto interessante, e in continuo aumento, è quello delle mense  scolastiche biologiche. Nate come esperimento negli anni 80 a Cesena,  interessano ormai circa 100.000 bambini dalle scuole materne alle scuole  medie, in grandi città (Roma, Bologna, Torino, Padova) e piccoli  centri.</ br>
La produzione e i prezzi
Più  di un terzo della produzione biologica italiana viene esportato,  principalmente in Europa, ma anche più lontano (Usa, Giappone...). I  prodotti più apprezzati all'estero sono principalmente: 
- frutta e ortaggi (di alta qualità, grazie alle specifiche condizioni climatiche e alla professionalità dei produttori produzione);
- l'olio extra vergine d'oliva; il vino (con eccellenti prodotti premiati alle più importanti rassegne vinicole internazionali);
- i formaggi (dal Parmigiano Reggiano alle più rare specialità tradizionali);
- la gastronomia (salse, condimenti della tradizione popolare e innovativi);
- la pasta (integrale, bianca, semplice o aromatizzata):
- gelati e surgelati;
- frutta secca;
- prodotti da industria, cereali, legumi.
Il settore della produzione si è modernizzato, costituendo  consorzi e società per la commercializzazione, che concor dano con le  singole aziende la programmazione delle produzioni. L'agricoltura  biologica italiana ha effettuato investimenti consistenti per un  progetto strategico che ha l'obiettivo di indirizzare con sicurezza,  strumenti efficienti e adeguati lo sviluppo per i prossimi anni.  Un'affermazione frequente è quella che il prodotto biologico costa di  più.
"Sì, certo" ammette senza difficoltà Franco Zecchinato "ma  basta tornare con la mente a quanto il consumatore ha scoperto in  occasione del pollo alla diossina. Negli allevamenti industriali, con  gli additivi energetici a base di grasso animale - quando va bene - il  pollo schizza da 45 grammi a due chili e mezzo in 40 giorni. A noi per  avere risultati analoghi servono ottanta giorni. Per fare un uovo si può  scegliere di stipare venti galline in un metro quadrato o di dar loro  spazio libero per pascolare. Ma credo che, mentre il nostro è  sicuramente un pollo, cresciuto naturalmente, sia difficile definire  ancora "pollo" quello convenzionale, e credo anche che l'uovo di galline  sigillate in batteria non abbia nulla a che fare con quello di galline  che razzolano in libertà. Il consumatore ha di fronte due alternative:  acquistare alimenti che sono la pallida copia di quello che dovrebbero  essere, checostano relativamente poco (e lasciano in tasca più denaro  per acquistare altre pallide copie), o acquistane alimenti di produzione  biologica, pagando il prezzo giusto per coprire i costi di una  produzione eticamente ed ecologicamente sostenibile. Insomma, dobbiamo  capire cosa c'è dentro e dietro ogni prodotto". E questo vale per tutti i prodotti.
Un'agricoltura per i giovani
L'agricoltura  italiana è un'agricoltura di pensionati: i giovani lasciano le aziende  convenzionali che rimangono senza ricambio generazionale, ma  l'agricoltura biologica è in controtendenza.
"Da quando ne abbiamo memoria, la nostra famiglia ha sempre svolto l'attività di agricoltori e allevatori"- dice Severino Zaggia - "Nell'agricoltura  convenzionale i giovani cercano di abbandonare il lavoro nei campi  appena possibile, è un lavoro duro. spesso pericoloso e non di grandi  soddisfazioni. Ma per noi essere contadini è motivo di orgoglio: abbiamo  scelto di produrre biologicamente proprio perché l'agricoltura  l'abbiamo nel sangue: l'agricoltura del futuro è biologica. L'ltalia non  potrà mai mettersi in concorrenza con i Paesi che riescono a produrre a  prezzi bassissimi grazie a un costo del lavoro, irrisorio, a aiuti  statali, a controlli del tutto insufficienti su sicurezza del lavoro, e  sostanze chimiche (Belgio a parte, basta ricordare che il DDT è ancora  permesso in numerosi Paesi). Dobbiamo metterci in testa, invece, che è  ora di produrre alimenti di qualità ineccepibile, non solo belli a  vedersi, ma gustosi, sani, rispettosi dell'ambiente. Dieci anni fa metà  degli acquedotti della Pianura padana era inquinata dall'atrazina usata  nel mais, più di recente gli scarichi degli allevamenti hanno reso  l'Adriatico una gelatina di alghe: il mondo agricolo deve capire che è  ora di cambiare strada ".
 
 
 
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